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BOLOGNA: Omicidio Gualzetti, confermati 16 anni e 4 mesi al giovane accusato

Conferma della sentenza di primo grado emessa dal tribunale per i minorenni, cioè della condanna a 16 anni e quattro mesi, per il giovane accusato dell'omicidio dell'amica Chiara Gualzetti, assassinata a 15 anni nel 2021 a Monteveglio, nel Bolognese. Lo ha deciso la Corte di appello bolognese. Presente nell'aula a porte chiuse l'imputato, che proprio oggi compie 18 anni. Il giovane risponde di omicidio aggravato da premeditazione, futili motivi e minore età della vittima oltre che del porto del coltello con cui Chiara venne colpita, prima che l'amico infierisse anche con calci pugni. Poi il ragazzo se ne andò, lasciando il cadavere abbandonato ai margini di un bosco. Il giovane confessò il delitto, dicendo di aver agito spinto da un demone.

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BOLOGNA: Omicidio Matteuzzi, l'investigatore privato, “L'ex era ossessivo”

A novembre 2021 Giovanni Padovani aveva cercato di assumere un investigatore privato per far controllare la compagna Alessandra Matteuzzi, la donna di 56 anni che il 23 agosto 2022 avrebbe poi ucciso sotto casa a Bologna, in via dell'Arcoveggio. A contattare la squadra mobile che ha indagato sul delitto è stato lo stesso investigatore, a fine agosto, dopo aver letto sui giornali dell'omicidio, riferendo di alcune richieste "ossessive" e "che rasentavano talvolta l'assurdità" che il 27enne Padovani gli fece. La sua testimonianza è agli atti dell'inchiesta: la prima udienza del processo è fissata il 3 maggio davanti alla Corte di assise, per omicidio aggravato da premeditazione, stalking, futili motivi e legame affettivo. "Fin dall'inizio - ha raccontato l'investigatore - mi telefonava con grande insistenza, circa 10-15 volte al giorno, anche in orari notturni, pretendendo di avere ragguagli in tempo reale sugli spostamenti di Matteuzzi" per avere "conferme sulle indicazioni che lei gli forniva al telefono". L'investigatore ha spiegato alla polizia di aver lavorato per Padovani solo tre giorni e poi di aver interrotto, visto il suo comportamento che "era davvero eccessivo, direi ossessivo, tanto che più di una volta gli ho riferito che le sue richieste non corrispondevano al nostro modo di lavorare. A questi miei richiami Padovani insisteva, talvolta quasi implorandomi di aiutarlo ad escludere i suoi sospetti". Tra le richieste, anche quella di verificare la conformità dei luoghi che Alessandra pubblicava sui social e di andare dove lei lavorava e fare un video all'interno del bagno "così che lui potesse verificare la corrispondenza dei luoghi". L'investigatore ha detto anche di non aver rilevato un potenziale pericolo che potesse far ipotizzare l'accaduto, ma di aver pensato che le richieste, esagerate, fossero motivate da una insicurezza.


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